Alzheimer
Divenne fitta la nebbia
all’improvviso,
con  fatica e con dolore
le lame
squarciavano le ombre,
incerte,
le linee del tuo viso
fissavano
l’impronta nei miei occhi,
barcollavano i sensi,
in cerca d’un appiglio,
che riagganciasse
i fili
dei ricordi andati in pezzi,
e mi tenesse ancora
i piedi saldi al mondo.
E quando,
nei momenti che s’accende
il sole,
la mente la pellicola riavvolge,
ancora più acuto
lo spasimo devasta il cuore,
l’angoscia
succhierà ogni residuo,
lasciandomi inerme
nella mia disperazione,
ricorderò
il tuo nome, gli anniversari
più importanti,
e poco dopo li avrò dimenticati.
Cellula ignara,
flebile candela
d’intermittente luce,
prima che vacuo sia lo sguardo
e la voce muta di parole,
insegnami a chiamarti amore.
Maria Carmela Dettori


Significazione critica della poesia “Alzheimer” di Maria Carmela Dettori
Con straziante cura la Dettori ricuce il muto dettato della condizione di Alzheimer, dimensione inconscia avanzante e impietosa. Trova il lenitivo “appiglio” dei sensi come unica cura alla presenza, attraverso l’azione sintetica della sinestesia, collante del ricordo. Il più stretto degli abbracci si riapre di nuovo dall’era d’infanzia alla stagione senile, nel chiasmo dello sguardo, che mutualmente chiede di riconoscere di sé negli occhi dell’altro, identità contenute nelle linee nitide del rinominare ed essere rinominato, riconoscimento e riconoscenza, da indistinto intreccio d’amore.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti