La notte in fiaba redamante.
Il Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma 2023 è conferito all’artista Giacomo Minella.

Il Comune di Canale Monterano in collaborazione con l’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea conferisce il Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma all’artista Giacomo Minella, che offre in lascito una sua opera pittorica in omaggio alla scultura monumentale “In volo” di Robert Cook e Fabrizio Naggi, per esposizione permanente nella galleria comunale in Piazza Tübingen, con inaugurazione il 24 agosto 2023 alle ore 19.00.

La cerimonia conferisce la medaglia del Leone Aureo, effigie del leone berniniano della Fontana di Palazzo Altieri dell’antica Monterano, simbolo della città, realizzata con fusione artigianale del laboratorio orafo Rocchi di Via Margutta 51 in Roma. L’artista è insignito inoltre del Diploma del Comune e dell’Accademia, in Convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, accreditata dalla Regione Lazio, iscritta all’albo di Roma Capitale e della Critica in semiotica estetica della presidente dell’Accademia, prof.ssa Fulvia Minetti, esposta in connubio all’opera dell’artista.

La Galleria Accademica d’Arte Contemporanea della Città d’Arte Canale Monterano di Roma in Corso della Repubblica n.50 invita alla mostra personale dell’artista, dedicata alle risorse naturali e culturali della città: l’acquedotto dell’Antica Monterano, la Chiesa di San Rocco, la Chiesa di San Bonaventura, il Leone della fontana di Gian Lorenzo Bernini di Palazzo Orsini-Altieri, la Cascata della Diosilla. L’esposizione resterà aperta al pubblico fino al 7 settembre 2023 ore 10,30-12,30 con ingresso gratuito.

Artista romano, fin dall’adolescenza innamorato dell’arte, Giacomo Minella ha frequentato l’istituto professionale per l’artigianato, IPSIA Carlo Cattaneo, il corso di Restauro dei Materiali Antichi presso la scuola Nicola Zabaglia di Roma partecipando ad attività di restauro su manufatti artistici e archeologici e l’Università della Tuscia, alla Facoltà di Scienze dei Beni Culturali, maturando la scelta di vita di dedicarsi pienamente all’arte pittorica. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti a concorsi di pittura nazionali e internazionali, fra cui il primo premio dell’Ass. CR Cultura e Risorse Onlus nel 2016, la classifica di finalista e il diploma di merito al Premio Accademico Internazionale d’Arte Contemporanea Apollo dionisiaco. Ha portato in mostra le sue opere in tutta Italia, in via permanente online nella Mostra Accademica dell’Arte Contemporanea e su diversi cataloghi, fra cui “Fenomenologia dell’Anima” edito dall’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea con analisi critica in semiotica estetica dell’opera artistica. Organizza mostre personali nella Galleria Accademica d’Arte Contemporanea e nel 2023 gli è conferito il Leone aureo berniniano del Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma, con esposizione permanente di un’opera presso la Galleria comunale.

In un fremito originario che avvolge lo stesso atomismo essenziale, come pori in respiro di una medesima pelle, si congiunge il luogo naturale e il luogo artefatto. In un’impressione emotiva di movimento inarrestabile di vita, si aprono gli occhi dallo sguardo pieno di luna a meraviglia e le bocche sbigottite dell’acquedotto dell’Antica Monterano. Audibile in sinestesia è l’articolar del corso d’acqua, il palato degli archi trapassando, si trova forse per un sempiterno istante, fra il mai detto e mai taciuto, il senso, il sapido gusto delle cose.

Con essenziale imponenza e compattezza si staglia la chiesa di San Rocco, a ricordare l’etimologia stessa del nome tedesco di grandezza e di forza. Il silenzio spopolato del paesaggio ricorda che il giorno di San Rocco annuncia, dal sedici di agosto, il lento volgimento al periodo autunnale, quando il significante dell’apparenza assottiglia e spoglia, come la cessione del santo dei beni materiali, perché la rappresentazione approssimi alla volontà di verità spirituale. L’autunno è la solitudine di un tempo letteralmente e paradossalmente ricco di realizzazione, oltre la dimensione dell’avere, all’essere. Così la donna dedita e devota indossa una veste semplice, a ricordare la scelta di vita pellegrina di San Rocco ed evocando l’iconografia del santo conduce una brocca, a simbolo taumaturgico di purificazione della carità e dell’assistenza a poveri e ad ammalati per la catarsi della guarigione, per mezzo dell’integra purezza dell’elemento di vita e di rinascita.

In fase di eclissi lunare è rappresentata dal Minella la chiesa di San Bonaventura, per richiamo simbolico al pensiero filosofico e teologico del santo, denominato Doctor Seraphicus, che ha la stessa radice di Sirio, ardente, la prima stella della sera. La visione dell’uomo è nembosa, lunare, parziale, seconda, riflessa e rifranta, così la filosofia deve ricondursi alla teologia: i saperi devono confluire alla fonte di verità in sé, alla luce prima, che è il luogo divino di comunione mistica. L’eclissi della dimensione duale della sensibilità e della razionalità rappresenta la contemplazione diretta della somma verità eterna del Verbo. La primitas divina, la primalità di Dio, è la meta dell’Itinerarium mentis in Deum, dell’itinerario della mente verso Dio. Noi uomini siamo a giungere alla beatitudine trascendendo extra nos, il grado esteriore di noi stessi quale orma vestigiale di Dio, intra nos, per il grado interiore e super nos, per il grado eterno e maestoso sopra di noi, superando noi stessi al primo principio, alla conoscenza mistica e contemplativa, alla via dell’illuminazione diretta dell’essenza ardente ed eterna. Il creato non ha sussistenza in sé, tuttavia si rivela in qualità di segno visibile del principio originario, rimando infaticabile al significato divino: tutti si è impronte, immagini e similitudini a riversare in Dio, e finanche la pietra in fede è il grido del suo nome.

Il Leone della fontana di Gian Lorenzo Bernini di Palazzo Orsini-Altieri è rappresentazione della città fantasma dell’Antica Monterano. Il fantasma è letteralmente un’apparizione, un’immagine percepibile alla vista, eppure di sostanza assente e impalpabile, dunque preservata e intatta. Il maestoso animale, guscio epifanico di ciò che era e che non è più, resta tuttavia paradossalmente integro e desto, con la zampa a percuotere la roccia per liberare la cascata d’acqua e la possibilità di vita, di rinascita oltre il tempo di tutta la vitale realtà dell’antico fasto ducale. Il Leone è regalità e forza attiva di affermazione, emblema di nobiltà, ammirazione e giustizia, fuoco di volontà che si apre nella criniera radiale del sole stesso, totem del coraggio di affrontare le pulsioni e di dominio degli istinti, trasmutati in nuovo e rinato pensiero di coscienza. Di guardia alla fortezza, è simbolo di eroismo, di equilibrio trionfante, di protezione, di ardente vigilanza, d’autorità, d’illuminazione e di trascendenza spirituale della materia temporale. Il Leone è luogo divino e metafora dell’uomo che rompe i vecchi pregiudizi del sapere, che annienta la falsa certezza e apre nuova fonte di valori propri e autentici, a elargire nuova visione delle cose.

La proiezione leggendaria del Minella abbraccia lo splendido cromatismo naturale della Cascata della Diosilla, i cui pigmenti rossi accesi dalla presenza dell’ossido di ferro vengono partecipati emotivamente dalla tragicità panica del sentimento dell’amore. La leggenda narra di una giovane fanciulla innamorata che, appresa la morte dell’amato, si getta fra le acque tingendole del rosso dei suoi capelli. La Cascata della Diosilla rievoca così il requiem medievale del giorno del giudizio divino “Dies irae, dies illa, solvet saeclum in favilla”, “giorno dell’ira, sarà quel giorno, dissolverà il mondo terreno in cenere”, a identificare quel giorno che esprime l’essenza stessa di sublimazione dell’amore con la potenza divina, che tutto genera e tutto dissolve. Il sentimento romantico vince i confini dell’identità materiale e l’amante supera di sé all’oggetto d’amore, oltre la morte, ove il battesimo delle acque è il descensus al grembo, che dà infinito principio alla vita dell’anima.

Per omaggio all’opera monumentale “In volo” realizzata dall’artista Robert Cook in collaborazione con Fabrizio Naggi ed eternante la memoria del maestro nella città d’arte Canale Monterano di Roma, il dipinto del Minella rappresenta il divenire dell’essere, la dinamica inarrestabile della vita, che irrora come sangue il corpo bronzeo dell’opera. È la catarsi dal soverchio materiale e la vittoria dello spirito vitale, del movimento di slancio del vivere. Le linee di forza partecipano l’accoglienza di un grembo sempiterno, gestante la danza delle infinite manifestazioni formali. Investe tutti i sensi insieme la sinestesia profonda che lega lo stormire al vento delle fronde allo stormo roteante del volo degli uccelli, il battito delle ali indistinto a quello del cuore, evocato dall’abbraccio unitario della viva anatomia umana e della corteccia vegetale e magnificata dalla levata eco celeste minellana della vita in turbinoso eterno ritorno. La dialettica oppositiva alterna i pieni ai vuoti materici, a rivelare che l’assenza è parte integrante dell’essenza, ne è la meraviglia stessa, il senso: è la condizione indomita del movimento di metamorfosi, al di là della forma della coscienza, per una rappresentazione in transito di verità. È eterna filogenesi che, come ispira la poesia minettiana in basamento, “corona infinito muovere di vita”.

Canale Monterano e la scintilla dell’anima del mondo.
Il Premio della Città d’Arte 2022 è conferito all’artista Cesar Ceballos.

Il Comune di Canale Monterano in collaborazione con l’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea conferisce il Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma all’artista americano Cesar Ceballos, che offre in lascito una sua opera per esposizione permanente nella galleria comunale in Piazza Tübingen, con inaugurazione il 29 ottobre 2022 alle ore 18.30.

La cerimonia conferisce per mano del Sindaco la medaglia del Leone Aureo, che porta in effigie il leone berniniano della Fontana di Palazzo Altieri dell’antica Monterano, simbolo della città, disegnata dal direttore artistico Antonino Bumbica e realizzata con fusione artigianale del laboratorio orafo Rocchi di Via Margutta 51 in Roma. L’artista è insignito inoltre del Diploma del Comune e dell’Accademia, in Convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, accreditata dalla Regione Lazio, iscritta all’albo di Roma Capitale e della Critica in semiotica estetica della presidente dell’Accademia, prof.ssa Fulvia Minetti, esposta in connubio all’opera dell’artista, “Cielo blu sopra Tombe Etrusche”, che omaggia le bellezze storiche e artistiche dell’urbe antica.

La Galleria Accademica d’Arte Contemporanea della Città d’Arte Canale Monterano di Roma in Corso della Repubblica n.50 invita alla mostra personale dell’artista, “Canale Monterano e la scintilla dell’anima del mondo”, tutta dedicata alle risorse naturali e culturali della città: la Chiesa e il Convento di San Bonaventura, la piazza del Comune con la Fontana del Bernini, la Chiesa di Santa Maria Assunta, l’Eremo di Montevirginio, il tramonto sui Monti della Tolfa, la Cascata della Diosilla, la gola del Mignone, la Greppa dei Falchi, la Solfatara, Porta Cretella, le Terme di Stigliano, la rievocazione storica medievale con la Corsa del Bigonzo, il Teatro Fiorani. L’esposizione resterà aperta al pubblico fino al 12 novembre 2022 ore 10,30-12,30 con ingresso gratuito.

L’architetto e artista Cesar Ceballos è nato nel 1966 e vive a Las Vegas, opera nella progettazione e nell’amministrazione della costruzione di strutture pubbliche della contea di Clark, in Nevada. L’esperienza artistica di Cesar Ceballos è radicata nella sua esperienza di architetto, di artista di schizzi di viaggi per il mondo e nella pittura ad acquerello. La sua espressione artistica è intimamente connessa alla verità e al valore sacrale della natura. L’opera mesce, in sorprendente equilibrio armonico, la libera materia cromatica dell’elemento naturale alla geometria lineare della forma, come l’inconscio alla coscienza. Ispirato dai suoi viaggi, le sue opere pittoriche scuotono l’immaginazione e sono state esposte da Cape Cod a Las Vegas e periodicamente alla City Lights Art Gallery di Henderson, in Nevada, e alla Mayor’s Gallery di Las Vegas e selezionate per mostre e pubblicazioni a Londra, a Milano e nella Galleria Accademica d’Arte Contemporanea presso la città d’arte Canale Monterano di Roma. Con un Master in Architettura presso la New School of Architecture & Design e un master in Facility Planning and Management presso la De Paul University, Ceballos offre il suo servizio pubblico con soluzioni di design. È stato insignito del Primo Premio, Trofeo aureo Apollo dionisiaco 2021 dall’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea di Roma con mostra presso il Castello della Castelluccia, del riconoscimento formale della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti per la mostra d’arte del patrimonio culturale 2020 e premiato ad un concorso internazionale di design per l’edilizia sostenibile. Attualmente è direttore del consiglio di amministrazione dell’AIA Las Vegas Chapter e ha prestato servizio presso il Consiglio nazionale dell’AIA per l’equità, la diversità e l’inclusione.

“L’abbraccio luminoso degli acquerelli ardenti del Ceballos è un iter profondo di sintesi elementare degli opposti di acqua e di fuoco, di femminile e di maschile, vita diretta e vita riflessa, eros e filosofia, d’inconscio e di coscienza.

Il medium pittorico dell’artista è il sale, luogo alchemico dell’albedo, la scintilla dell’anima del mondo, il richiamo che pone la molteplicità nell’unità, simbolo della dimensione paradossale del divino e corpo dell’uomo. L’acqua mercuriale è talamo che solve in copula mundi, all’infinità grembale di ogni cosa del mondo, l’aura tinta di zolfo, sole del mondo e cuore dell’uomo, è la volontà che accende e coagula, il sale fissa la reminiscenza paradigmatica di una verità fatta propria, assorbe a nuova coscienza la vastità dell’abisso inconscio nell’equilibrio della composizione armonica e simultanea delle parti nel cammino individuativo d’integrazione al Sé.

In “Cielo blu sopra tombe etrusche” l’artista compie un viaggio interiore che parte dall’Opera in nero, dalla nigredo di morte per descensus ad inferos negli ipogei etruschi: è il solvimento melanconico, l’abbandono all’inconscio, che reintegra al grembo della terra, all’indifferenziazione. L’artista fa esperienza della propria Ombra per atto finale di recupero del rimosso, che solo si rende possibile nella morte dell’identità cosciente, per apertura all’anonimia plurale, ctonia e istintuale, oltre il principio individuationis.

Solo così al Ceballos è permesso di dischiudere la terza e centrale porta tombale, in qualità di occhio interiore, nell’estasi dell’abbraccio consustanziale alla natura, alla Dea Madre che gesta l’illuminazione all’athanor delle tufacee cavità rocciose, che dona il superamento della cognizione logica e razionale e dei confini fisici connessi al dualismo e al conflitto, per partecipare intuitivamente e unitariamente alla totalità.

Nel transfert di un’identificazione proiettiva all’ambiente, questo stesso viene sottilmente irrorato da un sistema sanguigno, per un controtransfert che simmetricamente lega il microcosmo al macrocosmo, all’ Unus Mundus, ove il sangue è sacrificio segnico di morte e l’acqua corrente del Mignone è la vita risorgente alla fonte sempiterna dello Spirito, alla purificazione della corruzione materiale in una mistica comunione di superamento e trascendimento immanente alla deità.

È quindi un atto di trasmutazione alchemica a liberare l’eterea quintessenza filosofale al cielo blu, a cogliere l’impossibile fiore blu novalisiano, poetico infinito della vita, che staglia figure bianche e adamantine, intatte oltre la materia, quali manifestazioni del divino, sacra sizigia della coincidenza di opposti, segreta e rivelata allo spazio residuale e inesauribile di senso fra le cose, che tutte le contiene e relaziona, ineffabilmente.

L’artista invita all’incanto di una saggia e fanciulla meraviglia prima e rinascente, oltre la cecità mendace dell’apparenza e dell’abitudine, all’arresto della dialettica lineare del pensiero, in un tempo circolare, alla pienezza della vacuità, alla somma dei colori in movimento, per arresto del dolente rimando segnico in una referenzialità semantica non più analogica, ma diretta e identitaria, che sospinge la finitudine dell’uomo all’oggetto di vita eterna.” (Critico d’arte, prof.ssa Fulvia Minetti)

Video mostra: https://youtu.be/o4f8J_8g-yg

Il Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma 2021 all’artista Giovanni Gambasin

Il Comune di Canale Monterano in collaborazione con l’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea conferisce il Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma all’artista trevigiano Giovanni Gambasin, che offre in lascito una sua opera per esposizione permanente nella galleria comunale in Piazza Tübingen, con inaugurazione il 24 agosto 2020 alle ore 18,00.

Il premio è stato istituito per la celebrazione e l’arricchimento del patrimonio artistico della città e nel valore dialettico del divenire dell’essere nel luogo dell’arte, dimensione universale e archetipica di senso dell’uomo, per una rifigurazione prospettica del sapere, in aperto muovere veritativo.

La cerimonia conferisce ad opera del Sindaco Alessandro Bettarelli la medaglia del Leone Aureo, simbolo della città, disegnata dal direttore artistico Antonino Bumbica e realizzata con fusione artigianale del laboratorio orafo Rocchi di Via Margutta 51 in Roma, il Diploma del Comune e dell’Accademia, in Convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, con il Patrocinio della Regione Lazio e di Roma Capitale e la Critica in semiotica estetica della presidente dell’Accademia prof.ssa Fulvia Minetti è esposta in connubio all’opera dell’artista, “Monterano”, che omaggia le rovine dell’urbe antica.

Critica in semiotica estetica dell’opera artistica di Giovanni Gambasin,
artista insignito del Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma 2021

L’arte del Gambasin è la vittoria originale ed inesauribile sul mythos della lacerazione originaria, della recisione del cordone ombelicale che strappa dalla vita eterna del materno, per cui l’uno divenne due e l’ombra dell’indistinzione, della pulsione, della pluralità e dell’amore fu affidata al rimosso, scotomizzata dalla luce della forma cosciente, dalla norma imperativa e dalla certezza avanzante del sapere. La ricerca dell’artista trevigiano è sentimento di mancanza dell’unità primaria e universale, di una pienezza primigenia perduta, esacerbato dalla precoce perdita personale della figura materna e dagli obblighi del servizio di marina militare, ad inseguire la tensione teleologica al Sé, all’esigenza individuativa dell’inconscio e della coscienza, in una anteriore unità di senso, ove luce e buio siano il medesimo abbraccio, perché la libertà dell’essere abiti la necessità del divenire.

Gli elementi dell’architettura pittorica del Gambasin sono frutto della proiezione spaziale della propriocezione e dell’esperienza emotiva corporea, in nome dell’archetipica indistinzione della materia di soggetto ed oggetto, di uomo e di mondo, propria della memoria inconscia e collettiva del grembo materno. L’investimento emotivo e creativo dello spazio dell’alterità oggettuale è la riconquista, attraverso l’arte, del paradiso prenatale perduto, del vissuto onirico dell’infinità di sé nella continuazione all’ambiente.

La solidità imposta dello schema architettonico formale si scioglie nel luogo dell’ironia, che domanda, che decontestualizza e che rovescia l’indiscutibilità dei significati nel provocante gioco infinito della materia e della potenza della possibilità aperta, per una nuova realtà armonica di sé e di mondo.

Da Ananke, simbolo greco della necessità mascherante, del tempo lineare, del dover essere e della geometria della forma, l’artista si volge a Pais, eterna fanciullezza del senso, al luogo del gioco libero e salvo dalle coercizioni, in microcosmici volti improvvisi e nascosti, plurali, istintuali, multiformi ed epifanici della vera e fluida identità dell’essere. È la memoria profonda che coglie del medesimo i sussulti estranianti. In ogni dettaglio infinitesimale della forma resta impigliata una materia franca, qualcosa di abissale e inesprimibile in un viaggio labirintico alla verità dell’inconscio, a cercare il paradigma, che sconvolge la visione cieca dell’abitudine e desta un nuovo principio di sé e delle cose.

L’amniotica liquidità delle forme dell’artista è rituale ontogenetico di una seminale fecondazione immaginativa della realtà. E l’ontogenesi porta con sé l’intera rinascita del cosmo, sin dalle prime forme ciliate cellulari, nel desiderio augurale di rinascita della totalità della vita, a commuovere la gestazione del passato in presenza.

In un’atmosfera contenitiva e metamorfica dell’umido derma ambientale, la pianta a croce greca della chiesa di San Bonaventura evoca la tetralogia fondatrice di vita dei quattro elementi della natura, dal blu dell’acqua, al giallo della luce aerea, al rosso del fuoco germinativo, al verde della terra. La struttura ottagonale del tetto della chiesa e della fontana del Bernini in Monterano agitano la memoria inconscia dell’archetipo del contenimento grembale e femminile, che sospinge il limite terreno del quadrato alla perfezione celeste del cerchio: l’ottagono è athanor di una trasmutazione alchemica della materia in spirito, tensione battesimale della carne alla verità, della finitudine all’infinito.

La maschera architettonica della coscienza erge le rovine di un’identità collettiva nascosta e ritrovata lungo l’axis mundi, il centro assiale dell’universo, il luogo del principio della creazione, individuato nella colonna della fontana, elemento maschile che sostiene il cielo e penetra il grembo dell’acqua, in un connubio degli opposti, nell’estasi di una ierogamia, di un sacro sponsale. La sinestesia si svolge e trasporta lo sguardo umorale nelle cose, dal loro interno a rinascere i segreti veritativi di una memoria dimenticata.

Presidente fondatrice dell’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea
Prof.ssa Fulvia Minetti

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Il Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma all’artista Hans Eigenheer

Il Comune di Canale Monterano in collaborazione con l’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea e con l’Associazione Culturale Nobile Contrada Carraiola, conferisce in prima edizione assoluta il Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma all’artista svizzero Hans Eigenheer, che offre in lascito un’opera per esposizione permanente nel foyer della Sala Natili comunale, presso piazza Tübingen, il 24 agosto 2020 alle ore 18,00.
Il premio è stato istituito per la celebrazione e l’arricchimento del patrimonio artistico della città e nel valore dialettico di sintesi delle differenti culture nel luogo dell’arte, dimensione universale e archetipica di senso dell’uomo e ipotesi configurante per una rifigurazione prospettica del sapere in aperto divenire veritativo.
La cerimonia conferisce ad opera del sindaco la medaglia del Leone Aureo, simbolo della città, realizzata con fusione artigianale del laboratorio orafo Rocchi di Via Margutta 51 in Roma, il Diploma del Comune, della Contrada e dell’Accademia, in Convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, con il Patrocinio della Regione Lazio e di Roma Capitale e la Critica in semiotica estetica della presidente dell’Accademia prof.ssa Fulvia Minetti è esposta in connubio di valorizzazione della litografia in opera unica dell’artista.
pdf  L’Arte di Hans Eigenheer (Opuscolo sfogliabile su Issuu)

Critica in Semiotica Estetica all’Opera Artistica di Hans Eigenheer
Artista insignito del Premio della Città d’Arte Canale Monterano di Roma

L’Artista Hans Eigenheer è nato a Lucerna nel 1937 e non soddisfatto delle convenzioni di una cultura razionale ha nutrito la visione del mondo e la ricerca del senso dell’uomo attraverso il viaggio e lo studio della simbologia delle civiltà orientali in Grecia e in India e africane in Egitto; richiamato alla docenza all’Accademia d’Arte di Lucerna e di Zurigo, il Kunstmuseum ad Olten ospita i suoi disegni delle lezioni sulla lavagna ed è onorato del Premio d’arte della città di Lucerna nel 1997, autore di monumenti pubblici come il murale di 72 metri a Lucerna, ha lavorato a Parigi, a Firenze, a Via Margutta a Roma e da 60 anni opera a Canale Monterano creando arte, sviluppando una propria originale semiotica etruscologica e ricercando nelle forme dell’arte e del mito la simbologia archetipica di un inconscio collettivo dell’umano, per una universalità di senso, oltre la sovrastruttura culturale di una prospettiva dell’abitudine.
Le caleidoscopiche vedute grafico-pittoriche dell’artista svizzero offrono stagliate geometrie dalle intensità incisorie, in qualità di occasioni di supporto elargenti le visioni metamorfiche del molteplice sensibile del mondo e, operando un’infaticabile ricerca della massima economia segnica, conducono da una prospettiva esteriore dell’apparenza (Aussicht), attraverso un approfondimento archeologico, ad un’inerenza interiore di senso (Hinblick).
L’arte di Eigenheer, liberata da ogni necessità di convenzione, supera la natura propriamente e meramente estetica e serba una valenza profondamente formativa, nella proposta di partecipazione ad un’azione rituale per una paradigmatica visione delle cose e per un’iniziazione dell’identità, che nasce da una costitutiva perdita per apertura al mondo.medaglia-premio-monterano-hans Si abduce che il carattere visivo di quello che si possa definire il luogo fra rappresentazione (Vorstellung) e presentazione (Darstellung) dell’arte eigenheeriana s’inscriva nell’archetipo del mito orfico dello specchio di Dioniso, che inscena l’irrapresentabilità della visione originaria e il primo istante di nascita del logos: Dioniso fanciullo, l’iniziato, si specchia e scorge i feroci titani alle sue spalle, pur vedendo effettivamente se stesso, e al vissuto alienante il dio, sconcertato dall’abbaglio della visione universale impossibile, infrange lo specchio in caduta; i titani, approfittando del sorpreso sgomento sollevato, sbranano Dioniso, il fanciullo divino, che, privato del compimento del rituale d’iniziazione, mai farà ingresso al principio di realtà proprio dell’uomo adulto e resterà eterno fanciullo vivente la totalità fremente degli aspetti della vita di chi, come Eigenheer, non s’identifica nelle aspettative ordinarie. Zeus, punitore del gesto efferato, fulmina e incenerisce i titani e dalle ceneri nasce l’uomo, che dunque serba una inconscia costitutiva compresenza di titanica animalità e di divina essenza dionisiaca, poli opposti e dimenticati di cui l’arte di Eigenheer trova sempre una sintesi. Proprio e costitutivo dell’uomo, nato dalle ceneri dei titani fagocitanti il dio è così uno specchio in frantumi, ma ogni frammento, in qualità di segno, conserva la rappresentazione della visione originaria, per rimando all’oggetto, pur da un unico punto di vista.
Eigenheer viaggia, osserva, vive e colleziona i frammenti segnici dei molteplici e specchianti punti di vista culturali delle civiltà del mondo per riattivare il movimento della visione, che distrugge le stampelle dell’abito (habit peirceano): destabilizza la parvenza del segno che assegna il significato stabilito e usuale, come quello dilagante della certezza della quantificazione e della commercializzazione e invita, oltre le vesti pregiudiziali dell’abitudine, ad essere e a vedere, per cercare instancabilmente il collante di senso nel vissuto precategoriale del mondo della vita (Lebenswelt husserliano).
Eigenheer, in questo umano labirinto di cieche prospettive, cerca un’arte come ‘arto del vivere’, che muova e congiunga, che ricomponga la visione parziale dell’uomo condannato ai frammenti dello specchio infranto, che riconduca alle memorie di un inconscio collettivo dell’umano e al desiderio impossibile della visione originaria nella sintesi di soggetto e di oggetto, di sé e di altro da sé, nell’avviluppo delle spazialità che rampollano architetture e geografie anatomiche: è l’eccedenza di un sé che rinuncia ad essere solamente se stesso, che abita il mondo ed ogni cosa del mondo. Non a caso Eigenheer si traduce in italiano come “cavaliere eccentrico”, che esce dai confini angusti della norma del centro identitario. L’immaginazione dell’artista viaggia, oltre la soglia della nascita dell’uomo, oltre il nome che segna il destino di finitudine nella dipartizione fra sé e mondo, fino ai luoghi immemoriali della ‘divina animalitas’, sintesi mitologica del dio Dioniso e della ferocia dei titani.
L’arte di Eigenheer è azione intelligente (da inter-legĕre), che ‘legge tra le righe’, che trasceglie e scopre dello spazio il legame fra le cose, che tende e intreccia i fili grafici del senso, come filo d’Arianna che guida e rinasce sempre nuova identità ed espressione. L’artista non cerca la cosa, ma l’evento, il continuum dell’azione nella relazione dei passaggi delle forme, donando agli occhi le impronte sagomate sul filo del transito: poiché il sostanziale permanente, il senso, è il transitare in movimento di segni che sempre di nuovo svaniscono all’immemoriale mistero. Le creazioni dedaliche di Eigenheer sono invito all’ingresso nel labirinto dell’essere, alla perdita del principio individuationis per la partecipazione alla totalità fremente della vita: si capovolge la coscienza linguistica alfabetica nel segno semitico dell’aleph teriomorfo (lettera “A” rovesciata in testa di toro), nel richiamo selvaggio ad un vissuto anonimo plurale al mondo.
Il segno è nostalgia (Sehnsucht) che segue ineluttabilmente la memoria inconscia dell’appartenenza al grembo della donna e della terra, al contenimento primario universale che sposa gli opposti di nascita e di morte ed è la matrice di senso universale per una rifondazione inarrestabile della conoscenza di sé e delle cose. È ricerca di un inedito, sorpreso, fugace mezzogiorno che ricuce la scissione (Spaltung) di luce e di ombra, di coscienza e d’inconscio nel simbolo, che rifigura e apre nuova itinerante ipotesi rituale dell’oltre di sé. L’urgenza epifanica del mitologema del fanciullo divino, del puer aeternus, è immanenza vitalistica al mondo e volontà essente nel libero divenire di tutte le forme, mai chiuse.
Questo simbolismo mitologico non spiega, non ‘toglie le pieghe’ dell’esistere polisemico, ma lungo un iter labirintico relazionale e metamorfico, che archetipicamente e anatomicamente fonde cervello e intestino, facendo saggiamente del sapore il principio del sapere, crea immagini senza fine dello stesso abbraccio grembale fecondo dell’arte e gestante di sé, lasciandosi conoscere da ciò che non si conosce mai.

Presidente Fondatrice dell’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea
Prof.ssa Fulvia Minetti