in vena

ho inutilmente acceso di parole
questa vita
seduto ai madonnini
di quei sentieri che non mi ricordo
o erano valichi
tra le montagne che non ho scalato
in questo torbido rimpianto
esagerato in quella fede persa
all’inizio
quando l’amore della non madre
affilava l’affetto
come lamina per cercare dentro
mi sono pianto
mi sono disperato
ho disperso i momenti di piacere
ogni mattina
mi sono alzato ad incontrare l’alba
nudo d’orgoglio
come un amante pronto e rifiutato
e poi le ore
che comunque hanno fatto un’esistenza
perle di una collana
perdute lentamente una ad una
finché il respiro ha sibilato al vento

Stefano Zangheri


Critica in semiotica estetica della Poesia “in vena” di Stefano Zangheri

Liquida e dolente, la parola malinconica dello Zangheri è vena, vaso, via, inclinazione dell’intimo trasporto che riconduce al cuore. Ed è al cuore della provenienza che conduce la destinazione umana, al ritorno prenatale all’abbraccio consustanziale alla madre, al sinolo di una continuità inscindibile, in assenza della dimensione oggettuale, alla percezione di un sé infinito, di una soggettività totale. L’uomo è questa speranza disperata: non v’è parola che possa questa continuità, non v’è preghiera alla Madonna, né affetto di donna che possa restituire il paradiso perduto, di questo solamente ritrova l’ultimo respiro, che stesso si mesce al grembo del vento.

Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti