Vertigine
Mucchio di papaveri sbrecciati in un canto,
tenue sorge una musica che avevamo dimenticato,
la musica del nostro principio.
E non importa se a dirlo in versi è una malinconia,
fu il passaggio e la rosa d’ombra credo
inseguita nel suo dislessico sfiorirsi addosso.
Come quando sulla punta dell‘addio
germoglia il ritorno o come quando la lama dell’attimo
sembra perpetuarsi ben oltre la sua eco.
È una forma di gloria, io credo,
la luccicanza dell’abbandono in tenebroso serpente,
in fantasioso stordimento di forme,
laggiù, spazzate via…
La nostra materia è un filo appeso all’infinito,
un refolo di vento la spezza.
Noi siamo soli
nel guscio della vertigine.
Eugenio Cavacciuti (Ettore Fobo)
Critica in semiotica estetica della Poesia “Vertigine” di Eugenio Cavacciuti (Ettore Fobo)
In abbraccio ad un simbolismo universale e archetipico abissale, la parola del Cavacciuti in arte Ettore Fobo è viaggio eroico alla rinascita della coscienza, che sfida le vertigini dell’inconscio, alla ricerca del lucore del suono della verità prima, in monocordo di un silenzio. È la mancanza costitutiva della molteplicità il movimento di transito, che ricerca l’unità primigenia dall’ineffabile materia indifferenziata dell’ombra, oltre il dualismo, al tempo circolare. L’uomo è la solitudine di un inarrestabile principio, albedo rituale di un’eternamente ritornante cosmogonia embrionale.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti