La fiamma di Vanth (Africa etrusca; Etruria africana)

(Namibia, Brandberg, Dipinto Rupestre “White Lady” /
Italia, Pitigliano, Necropoli etrusche e vie cave)

Brilla fioca nella radura la fiamma di Vanth.
È notte, il cielo ha già spurgato il sangue di una nuova giornata di fame.
Ma il buio chiede ancora il suo tributo.

Tra queste rocce sospese mormora piano il vento,
Qualche insetto morde tra i cespugli,
E più in là, nell’oscurità impenetrabile,
Ci attende Charun per l’ultimo viaggio.

Noi raccolti attorno al fuoco ci osserviamo muti,
Mentre il cielo immenso ci ricopre da lontano
del suo freddo distacco.

La fiamma di Vanth ci riscalda appena
In questa notte senza suoni.

Le carni di riflesso quasi si congiungono alla terra rossa
Il bagliore rubro le confonde.
Sono piaghe smagliate, rotte, consunte, disfatte.
Si placano solo al contatto con il simile.
Eppure anche il riprodursi si accompagna allo sgomento,
Qui sotto il segno luminoso di Vanth.

Dacci ancora un minuto, un’ora, un secolo, un millennio,
A che le nostre figure possano, con il tempo,
Brillare di luce propria, uscire dalla tirannia di quella torcia,
Lasciarci respirare in questa notte senza pace.

È lei la sciamana bianca, la donna dipinta sulla roccia,
È lei che si oppone all’Impero.
Siamo da sempre e non ne abbiamo memoria,
Dureremo ancora e non sapremo mai.

Brilla fioca nella radura la fiamma di Vanth.
In quel bruciare entro, perdo l’equilibrio,
Le coordinate geografiche si confondono,
Nato in una terra, nato anche in questa, così lontana.

Omukuruvaro e Brandberg, Statnes e Pitigliano:
Qui nella gola bruciata dal sole,
Qui nella gola scavata nel tufo,
Osservati da Februus Gaunab Kohl,
Stanotte ci stringiamo al fuoco divino—
Senza poterlo spegnere.

Massimiliano Delfino


Critica in semiotica estetica della Poesia “La fiamma di Vanth” di Massimiliano Delfino

Rituale, la parola del Delfino rappresenta e al contempo supera la rappresentazione della vicenda umana di prossimità alla morte, per una presentazione all’universalità archetipica dell’uomo, che abita l’inconscio collettivo e la memoria immemoriale della storia del vivere, al di là del tempo, dei luoghi, delle differenze e delle culture. Il poeta affronta la condizione caduca e transeunte, per la reintegrazione al grembo naturale, a trasfigurare la dimensione duale e seconda di proiezione riflessa, in luce prima di verità, di eternazione, di coappartenenza essente di uomo e di mondo, di realizzazione alla deità, nell’abbraccio al mistero uroborico di una Grande Madre.

Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti