Cieli di marzo
Oggi
tramonto
fiorisce
di ciliegio.
Di pallido rosa
tinge
margherita
appena schiusa.
Nel suo domani
non desiderio
né disperazione.
Tornerà
viola
nei marzi
a venire
e
– non per me –
speranza
bambina
di zucchero filato
in turchino cielo.
Io
anima
senza più rotta
e senza approdo.
Temo
più che morir
perder memoria
d’essere vissuto.
Mirco Bortoli


Critica in Semiotica Estetica della Poesia “Cieli di marzo”
di Mirco Bortoli
Il verso rotto e doloroso del Bortoli apre la differenza, fra il continuum inconscio e infinito della vita instante della natura e la costitutiva impermanenza metaforica del corpo dell’uomo, che, iscritto in una distanza signata, diveniente accade, transitando una mancanza ad essere, una speranza disperata. La morte è evento verticale intensivo, senso, che semplicemente riporta l’uomo all’essere, alla sostanziale permanenza del corpo del mondo, all’origine immemoriale. Così il poeta sfida l’oblio del trapasso, serba e affida la sua parola, che inscrive nuovamente il lettore nella memoria e nel desiderio, nel movimento della presenza dell’assente, che sempre solleva il segno dell’autore.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti