Critica in semiotica estetica dell’Opera “Observer” di Benito Maglitto

In perfetta sintesi di luogo umano alla bruna quadratura del capo e di luogo divino alla cerulea circolarità degli occhi, l’osservatore del Maglitto è colui che letteralmente serba l’intorno. Lo sguardo osservante dell’uomo, che nasce dallo stesso foglietto embrionale della pelle, è costitutivamente un abbraccio sinestesico. L’artista osserva la promessa originaria di ricongiungimento dell’osservante all’osservato, a reintegrare l’ombra del rimosso, a rifondere identità e alterità, infino a scoprirsi in comunione alla natura infinto, finanche a consustanziarsi alla deità. È l’istante che supera il chronos lineare, che trova la curvatura del suo kairos, per l’attimo di metanoia stupefatta di un senso proprio: lo sguardo solleva e libera dalla prospettiva errante di un unico e avvicendante punto di vista sulle cose, fuori della replica duale e mendace dell’evento di inizio, oltre la figura retroflessa ed anteflessa delle pratiche adottate di sapere, fuori della rappresentazione scenica di un teatro che rimanda la verità: è l’istante terso e primo dell’epìskopos, che dall’alto affranca l’uomo dalla morte.

Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti