Profumo d’inverno

Non dirmi della parola inverno,
nonostante quel freddo
silente che imbrina
una bottiglia accartocciata
sulle dune del silenzio.

Sferza l’aria
graffiando guance molli
sui campi d’autunno
invecchiato.
Sorrisi acerbi
di chi guarda quell’azzurro cielo,
e sogni stesi lungo un filo
di un bucato appena germogliato.

Taci, non parlarmi d’inverno
caro fu il ricordo
del vermiglio ancora vivo
e del frinire di quell’estate;
l’arsura scivolava in un
ruvido ricordo.

Ed ora miro le ultime
foglie, cader al riflesso
dell’ocra mattutina,
quelle tiepide albe
che inaspettatamente
sconvolgono i miei pensieri.
Fluttuo sopra al mare
di foglie, allontanando
questa malinconia.
Le ore del giorno, scappano via
lasciandomi in questa
solitaria quiete.

Lontano, tra le cime rossastre
i colori s’amalgamano
a dare un senso, pennellati sulla tela del nostro scoprire.

Fabio Salvatore Pascale


Critica in semiotica estetica della Poesia “Profumo d’inverno” di Fabio Salvatore Pascale

Sinestesica, la parola del Pascale ascolta e al contempo rifugge il vigiliare profumo iemale, che coglie, acerbo fiore, il sorriso di vita dell’uomo. Dalla larva estiva di volontà vermiglia è già l’ocra silente e bolare del colore dell’uovo, che bruno rifonde il singolo alla totalità universale e, tuttavia, il senso apicale con le membra non muore.

Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti