Maschera nuda

Di ciò che posso essere io per me,
non solo non potete saper nulla voi,
ma nulla neppure io stesso. (Pirandello)

Indossiamo la maschera della convenienza
diventata il nostro volto ufficiale per
sopravvivere in ogni situazione e ricorrenza:
interpretiamo vari ruoli fuorché l’essenza
del nostro io che sfugge ormai anche da sé.
Sconosciuto anche a noi resta il vero volto:
guscio di cicala vuoto che più non canta al sole
litanìa d’amore nella segreta passione sua di consunzione.

Uccelli dal vario canto e piumaggio
siamo tutti prigionieri nella voliera incantata
del desiderio proibito di libertà senza ali
e restiamo incatenati allo specchio
delle brame alla ricerca dell’approvazione
per aver ben eseguito la rappresentazione
in veste del nostro diventar qualcuno.

Anche la parola si fa a volte vento che
si disperde nel gesto a coprire l’inganno
e resta bandiera senza colore nel giro
dell’affanno di apparire quello che
crediamo sia gradito, nel continuo
essere arlecchini servitori d’altri,
maschere su misura a prezzo d’occasione.

Gabriella Paci


Critica in semiotica estetica della Poesia “Maschera nuda” di Gabriella Paci

Profondamente ironica, la parola critica della Paci è a rimare ad eco la vacuità della maschera sociale dell’uomo, a nudare il canto della verità. L’apparenza mendace del ruolo è la prigionia alienante della medesimezza, che si oppone all’ipseità narrativa, a celare l’abisso del volto per rispondenza a ciò che è atteso. L’Arlecchino è simbolo umano di una solarità declinante, perché dalla latenza si apra nuova vera primavera di luce.

Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti